Da
tempo io prediligo i pittori contrariati dal destino, che non vendono
i loro quadri a metri quadrati, che il grande pubblico ignora e che
le gallerie d'arte non osano il rischio di sostenerli nel giro
turbinoso degli affari: tramite l'arte.
Dopo aver trattato su un altro
giornale di Juti Ravenna, pittore solitario tratto qui del pittore
Silvio Bottegal. Egli pure è un artista solitario, vive solo
nell'immensa compagnia della natura. Non ha la fortuna di certe
schiere che per la loro giovinezza subito che presentano le loro
opere combinate con scaltrezza su riverberi dei maggiori artisti
contemporanei o su quelli dei grandi del passato, vengono acquistati
e divulgati con affermazioni, che più che incoraggiare, uccidono le
loro promesse. Da oltre vent'anni egli lavora e non è mai uscito
nell'esporre oltre i confini della sua provincia. Conosce tutte le
tendenze moderne, italiane e straniere, ma non ha mai voluto crederci
e subirne l'influenza, sapendo come onesto e utile principio per
l'artista sia credere solo in se stesso: nel proprio evolversi entro
alla matrice del mondo. Incominciò con piccoli quadri, piccoli
anche per ragioni di denaro, dove egli riversava la sua vibrante
malinconia su viottoli pantanosi di campagna, tra aride e lucenti
siepi d'inverno, e panorami della campagna veneta con cieli lontani
sui monti sentiti come continenti di sogno, dove egli sa di non
potere mai arrivare in viaggio, e binari di scali merci con vagoni
fermi come in una sosta eterna e baracconi di fiera e carrozzoni di
zingari, tutto un mondo ricercato con la guida della sua umiltà e
della sua certezza di fare per tutta la sua vita parte con gli
elementi più secondari, più abbondanti, più dimenticati. In questo
suo primo periodo egli fa pensare per la tenacia delle pennellate, a
certi pastori che soli sull'alto di un colle sorvegliano il gregge
e intanto a colpi di roncola intagliano il proprio bastone
ricavandone nel manico o una testa di pecora o una serpe. Su minute,
calcolate, misurate pennellate che si compongono nella breve
dimensione in un racchiuso frammento di vita accordata alla sua anima
malinconica. Malinconica la sua anima, trova, come quella del grande
desolato filosofo, i suoi momenti di lieta danza nel suono del
flauto. Qui egli si fa in un bosco di fantasia fauno abbandonato
dalle ninfe e con la sua zampogna invoca alla terra un sollievo nella
sua solitudine. E la musica lo rapisce nella sua sola gioia. Trova in
questi esercizi musicali la sua danza, ma non aderisce portandone il
senso nella sua forma di espressione che è la pittura. Ne è seguito
un altro periodo con colori più limpidi, e pennellate più
distese, ma timoroso di essersi troppo concesso di libertà, nel
suo cauto procedere, si tenne tra tenui grigi e pallidi verdi. E' di
questo periodo il quadro Primavera, dove un asinello segna con la sua
ombra al primo sole il verde rinascente di un prato, e
l'asinello stesso è come l'ombra di un altro, lontano si
rivelano alcune bianche case e i monti sono come terre emergenti
dalle acque tra l'asinello e la lontananza vi è l'accordo di un
campo giallo di ravizzoni con quello smeraldino del frumento, ma il
segreto della primavera è tutto scoperto con un semplice soffio
nell'ombra dell'asinello e nella timidezza de i colori e delle
forme a farsi riconoscere al tenue sole. Recentemente egli ha preso a
dipingere a l'acquerello e su dimensioni maggiori. Come coloro che
hanno strettamente trattenuto i propri istinti e che si trovano nel
corso della via a manifestare una sempre fiorente giovinezza, o come
certi altri centenari che non hanno mai sorprendenti impeti di foglie
o di frutta, egli dopo venti anni di costante minuta corrispondenza
con la pittura ha ora improvviso questo nuovo virgulto scaturito
dalla base del suo arido tronco, tutto vibrante di illuminate foglie.
Paesaggi, ritratti, e fiori, con quella disinvoltura che si doveva
prevedere dopo tanto esercizio di parsimonia sono gli argomenti dei
suoi acquerelli. E quell'abbandonarsi del suo spirito nel suono
del flauto egli ha saputo trasfonderlo in questo nuovo
genere di pittura. Qui il pennello
danza lieto e quasi coraggioso come se ninfe fossero riapparse ai
suoi occhi panici. Non sono che abbandoni di forma, la sua malinconia
sorregge sempre il quadro al centro, sia esso un ritratto o un roseo
mazzo di fiori, di fiori che gli appartengono solo nel breve tempo
che li ritrae, perché non sono del suo giardino, ne gli sono stati
regalati, ma solo li ha avuti in prestito dal fioraio, non potendo
comperarseli.
Giovanni
Comisso
Tratto
dal libro “ Silvio Bottegal – pittore e poeta” edito dalla
tipografia “ Editrice Trevigiana “ Treviso 2 giugno 1971 in
occasione della mostra presso Ca da Noal – Treviso pp. 18 - 20
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