Io sono il nipote e parlare di mio zio
e come sfogliare un vecchio libro di memorie "offuscate dalla
ruggine del tempo" (come lui soleva dire nelle sue
innumerevoli licenze poetiche che io ripeterò di tanto in tanto,
chiedendo venia a priori). Ricordare le nostre origini, non
spiegherebbe questa strana vena artistica che si trasmette di
generazione in generazione.
Il padre Antonio, originario di Lamon
o dintorni, scappò di casa a otto anni e girovagando per il mondo
riusci a sollevare le miserande condizioni della sua famiglia.
Lentamente questo istinto nomade, per inclinazione o per forza di
appetito o per inserimento nel mondo di allora, consolidò in
quest'uomo tutto di un pezzo il bisogno di crearsi una famiglia. Cosi
a trent'anni circa si innamorò di Anna Prezioso, (scusate: nobile
Prezioso); una fanciulla cosi piccola rispetto a quell'anione di
oltre un metro e ottanta che, uno accanto all'altra, sembravano
l'antitesi personificata. Dolce, gentile, poetica e sensibile lei,
quanto rude e concreto lui. Per inciso dirò, come raccontò la nonna
Annetta, il loro viaggio nuziale. Allora non si usavano grandi
viaggi di nozze ma neanche brevi, esclusi naturalmente i grandi
signori; il loro primo viaggio fu il trasferimento da una città
all'altra con il carro ricolmo di merci (saremo
pressapoco nel 1890). In aperta campagna si ruppe un asse del carro
sparpagliando il carico sulla strada (a quei tempi non esistevano
problemi di ingorghi al traffico! ). Assieme all'aiutante, mio nonno
decise allora di recarsi al più vicino paese per aggiustare
l'asse rotto, ma non trovando nessuno del mestiere, pensarono di
brindare lautamente e a notte fonda tornarono visibilmente euforici
dall'intirizzita e spaurita sposina. Ho descritto questo aneddoto per
spiegare il carattere del montanaro temprato a tutte le disavventure,
certamente ambizioso di unire la sua vita a quella
della nobile romantica mia nonna. La loro unione non poteva che
partorire figli uno diverso dall'altro: Angelo, frutto del primo
incontro amoroso, di una bellezza eccezionale al punto che i sarti di
allora se lo contendevano per fargli indossare i loro vestiti;
purtroppo, come la sua pienezza e bellezza di vita fu completa,
altrettanto fu breve.
Nacque poi Silvio, artista fin
dall'infanzia, il prediletto della mamma Annetta. Poi venne Mario, il
commerciante nato, scomparso da poco tempo all'età di settantatre
anni: dietro la sua maschera inflessibile ad ogni compromesso che non
fosse di carattere commerciale, vibrava l'animo sensibile di un uomo
che gioiva all'attaccamento dei suoi parenti, gloriandosi di essere
l'indiscusso riconosciuto maestro di tutti noi. Per ultimo arrivò
mio padre, Adriano: uomo di bontà incommensurabile, alieno al
commercio, incline alla conversazione semplice, al buon calice,
alla semplicità di lunghe passeggiate
in campagna con la bicicletta. Anche mio padre, a 52 anni, fini la
sua permanenza in "questa piccola fiera e poi si va via"
(licenza poetica non di mio zio, ma di mio nonno). Questa
introduzione è indispensabile a spiegare l'ambiente in cui scaturì
l'estro poetico e pittorico di mio zio Silvio. Silvio caro,
probabilmente io non sono stato il tuo nipote prediletto perché so
il bene che tu portavi a mio fratello Guido: poeta ucciso dalla
lotta fratricida dopo tormentate vicissitudini, ma ti assicuro che
tutto quanto ho potuto fare per tè l'ho fatto. Ora sono qua che
volutamente furteggio le ore di sonno per cercare con la mente quanto
ho potuto di tè sapere ed apprendere. Si, dico apprendere, perché
se pur il tuo disinteresse per il profitto è stato l'antitesi del
commercio, è ora mio dovere trasformare quanto hai lasciato, in
forma benefica affinchè coloro che verranno, ricordino Silvio
Bottegal, artista giovane e disinteressato fino alla morte.
E' di poco tempo la tua scomparsa, anzi
mi sembra ieri, perché l'espressione artistica tua mi conforta e mi
accompagna aiutandomi a vincere le avversità di una vita acquisita "
inabissandomi nei futili guadagni ” Mi è presente la tua
volontà nel triste letto della tua fine, di raccomandarmi i pochi
soldi racimolati per la tua malattia conclusiva. Dianzi mi dicevi
l'assurdità delle tue sofferenze per cosi poca cosa e ti
ripromettevi di farti operare anche un cronico nodo al piede: ma
purtroppo, caro Silvio, come hai visto è poca cosa il momentaneo
benessere se poi le membra sono arrugginite da
lunghi stenti, dolori e sacrifici.
Sacrifici si, perché di tutto ti privasti nella vita per il tuo
fiero carattere di indipendenza da chiunque, anche dai tuoi
ammiratori, ma soprattutto da coloro che di tè e della tua arte
volevano trarre fonte di facili guadagni. A proposito, ripenso il
giorno che trovai da venderti due quadri e volevi sapere ad ogni
costo il nome dell'acquirente certo per rivedere le opere che amavi
come tue creature o forse, come altre volte hai fatto, per chiederne
il riacquisto.
Caro Silvio, se la tua vita è stata un
sacrificio, ti è stata ricompensata dalla
coscienza del valore della tua
produzione pittorica e letteraria, che hai offerto per tutta la
vita a coloro che hanno saputo e sanno comprenderti. Ti ripetevo fino
alla nausea che non ti volevo vestito "distrattamente",
anzi più svestito che vestito: ma il tuo testimoniava un carattere,
mentre il mio era forse, come tu dicevi, un "carcere
borghese" e di questo oggi sono convinto perché il vestito,
i tuoi
enormi sandali, la tua bicicletta con
le ruote di legno (più elastiche, più morbide, dicevi) erano cose
poste al tuo esclusivo servizio, non tu soggetto ad esse!
Veramente ad una analisi nel tempo devo
riconoscere la tua coerenza ad ogni costo: anche quando i partigiani
ti bastonarono a sangue o ti uccisero Guido in cui avresti cosi
amato impersonificare una continuità della tua arte.
Ho raccolto ora i tuoi quadri rimasti
in nostro possesso e mi commuove la possibilità di dare alle stampe
parte della tua biografia artistica e mostrare presto a Casa Da Noal
il diritto che hai acquisito al rispetto dei posteri. Mentre scrivo
mi sembra di conversare con tè e nel rivedere le tue opere ritrovo
la tua metamorfosi artistica: eri pittore nato, mi piace rivedere il
tuo disegno campestre che potrebbe essere dignitosa copertina di una
"sesta di Beethoven" da tè tanto amata: come hai potuto
cosi ben dipingere la casa di Lamon (di cui, ti assicuro, farò
tesoro), le tue nature morte (ma direi non troppo, data la vitalità
della loro composizione) gli sfondi che certo apprendesti da maestri
del tuo tempo. Ma venne anche per tè la guerra '15-18 che fra le
altre cose ti portò, data la tua preparazione musicale, ad essere
assunto nella banda con il tuo flauto che ancor oggi gelosamente
conservo. Se la vita non ti ha dato figli o mogli stabili, ti ha
ripagato con il possesso di tutte le arti più belle: la pittura,
la musica e la poesia. La riproduzione di alcuni tuoi quadri e delle
tue poesie, unite alle commosse parole dei tuoi
amici ed ammiratori, ai giudizi dei critici e ad alcune poesie e
racconti del caro Guido danno materia e vita a questo libro
dedicato alla tua memoria.
La conquista del colore si personalizza
nell'arte difficile dell'acquarello, cosi ben descritta da Enrico
Somaré: "Tra il disegno e il dipinto sta l'acquarello e
tra il disegnare e il dipingere l'acquarellare, che e quasi un modo
di disegnare cromaticamente e di dipingere disegnativamente. La
pianta dell'arte produce questo fiore raramente. Anche l'albero di
Cézanne dopo i molti frutti pesanti che aveva dato volle tentare di
produrlo, ma gli acquarelli cézanniani non hanno ne il profumo
ne l'allegrezza di una fioritura: le fibre che li innervano e gli
umori che li percorrono sono discontinui; la continuità
dell'espressione costituisce il pregio di questo primaverile
prodigio". Forse nessuno, o pochi, hanno mai visto o
sfogliato i tuoi quaderni di appunti, di studi di volti rudi o
gentili, abbozzati con forte espressività; alcuni li hai trasferiti
nel quadro o nel più
arduo acquarello, componendo un albo di
personaggi caratteristici che tu forse ricercavi negli ambienti, nei
luoghi più impensati: facce di dementi, di operai, di contadini, di
persone che ti hanno amato o aiutato, come il tuo amico di Adria al
quale dedicasti uno dei tuoi bei quadri:"L'alluvione ".
Oppure convegni di persone in osteria o
in altro luogo con facce generalmente dure o sofferenti: probabile
riflesso dei tuoi stati d'animo, quasi che la tua voluta solitudine
fosse procreatrice silenziosa delle tue opere. Caro Silvio, mi sei
ancora presente nei giorni delle tue amare vicissitudini: quando
ti rifugiasti nella tua soffitta dove il proprietario ti permetteva
di dimostrare, dopo aver sacrificato parte della tua casa, venduto
o regalato i pochi mobili di inutile ingombro, ma ciò che ti
rimaneva era il tuo regno: il comò, l'armadio, due tavoli e i tuoi
quadri. D 'estate ricordo che per addormentarti acquistavi una stecca
di ghiaccio che accostavi al letto nell'illusione di sminuire la temperatura torrida
della soffitta. Al contrario, quando arrivava il freddo, ti
accontentavi del tepore della fumogena stufa che accoppiavi ai 10 cm.
quadrati del fornello elettrico. Finché venne il giorno che ti
trasferisti alla casa di riposo di Cavarzano in Belluno, dove ti
venne assegnata una stanzetta tutta tua. Potesti cosi, nei tardi
anni, consumare pasti regolari, avere un medico giornaliero (altra tua
passione i medici) ritrovare la tranquillità. Nei pochi quadri che
producesti si delinea il distacco dalle classiche forme o colori per
la scelta tranquilla di toni tenui, coerenti nelle tinte del
ciclo soffuso di gradevole ma movimentata luce estiva.
Gli acquarelli, ora liberati dalle
forme convenzionali, cercavano motivi eterei, privi di forma, ma cosi
trionfanti nel gelido trattamento dei grigi invernali, come i caldi
riposati pastelli estivi par-
lavano finalmente un linguaggio
diverso. Annullati i colori forti, libravano nello spazio luce
soffusa nelle splendide note della tavolozza chiara. Avrei potuto
scrivere molto di più ricordando i lunghi anni che mi fosti vicino
o le epoche quando, troppo bambino, non potevo comprendere i tuoi stati d'animo, ma mi basta
ricordare il tuo volto raggiante le poche volte che ti ho visto a
Belluno. Con l'affetto del ricordo, ti pensa tuo nipote.
Giuseppe
Bottegal