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venerdì, ottobre 16, 2015
Recensione - Giuseppe Mazzotti
Un altro vecchio artista trevigiano,
che fu amico di Gino Rossi, di Giovanni Comisso, di
Arturo Malossi, di Guido Cacciapuoti, di Valentino
Canever, di Bepi Fabiano, di Sante Cancian, di Ciro
Cristofoletti, di Sante Zanon, di Nando Coletti,
dei fratelli Tommasini, oltre che degli artisti della
successiva generazione, viene giustamente ricordato nella città
in cui visse e operò per tanti anni. Silvio Bottegal, nato a Schio
nel 1895, fu condotto ancora bambino a Treviso, dove i suoi genitori
apersero negozi di ottica, prima al ponte di San Martino sul Sile,
poi in "Croce di Via", quindi al Siletto, nella casa ad
archi gotici che ha un lato sul canale e dove certo qualche anziano
lo ricorda intento ad allestire le vetrine. I suoi genitori, di
origine feltrina, dotati entrambi di un carattere piuttosto
originale, abitavano fino agli ultimi anni in una casa di Piazza
Ospedale, sopra il forno Bortolan. Nella soffitta di quella casa egli
aveva il suo studio. Di temperamento schivo, tutto chiuso in se
stesso, Bottegal sentiva la natura come sorgente di motivi poetici,
che egli tentava di cogliere e di esprimere in ogni sua opera. Nella
terra, negli aspetti dei campi arati, coltivati, verdi,
biondeggianti di messi o aridi di stoppie, egli avvertiva ritmi e
armoniose cadenze, che lo seducevano come rapporto musicale prima
ancora di incantarlo come rapporti di forme e armonie di colore.
Tutto preso da quelle cadenze e da quei ritmi. Bottegal si
abbandonava a dipingere per far durare nel tempo la commozione che
gli veniva dalla loro contemplazione. Ha cercato anche di tradurle in
versi:
Ascesa, ondeggiato dorso
odore di sereno e cespugli
m'è riposata fatica salire.
Toni di vele, case
chiare nida dei campi
porgono tra l'ondante aria nuova
lavoro al desioso mosaico.
Tremuli odoran tepori di luce
... Tra sole, timide case sparse,
sentieri invitano accordi
all'ampio forte color di fatica.
Disteso vario silenzio.
Pianura sale all'orizzonte.
Questi versi manifestano i temi
preferiti, soggetto, tono e carattere dei suoi quadri.
Bottegal pareva veramente sentire
l'odore dell'aria, del cielo sereno, la pigra pesantezza delle grige
nuvole. Come nel verso traduceva il silenzio disteso sulla pianura,
cosi nel quadro fermava il tepore o la morbidezza dell'aria.
In certi suoi paesaggi, dominati quasi sempre da un profondo
senso di malinconia, si può avvertire non solo la leggerezza o
la pesantezza dell'aria, ma il calore stesso della terra. Alcuni
alberi nudi, lungo una strada di campagna, si mostrano
rigidi nell'aria cruda dell'inverno. In un'altra opera, gli stessi
alberi, ancora nudi, sono intiepiditi, come il fango, da un solicello di
febbraio. La neve, cruda in un quadro, in un altro si mostra più
pesante e molle, sensibile al tepore dell'aria. Soffusi vapori si
alzano dalla terra a velare alberi e case. L'aria che avvolge la
Porta di San Tommaso, è proprio l'aria dolce e umida di Treviso
all'alba. Il sole arroventa i binari e i carri ferroviari dello
"scalo merci" e si sente che i sassi, fra le traversine,
scottano a toccarli. L'erba di un prato è bagnata, dopo un
temporale, non per abile luccicare di pennellate: l'aria, infatti, è
ancora umida, e dalla strada grigia si alza buon odore di polvere
bagnata.
Noi sentiamo tutto questo nei paesaggi
di Bottegal. Forse, più che pittura, l'opera sua può essere
considerata la trascrizione di una sottile, malinconica vena poetica,
una specie di "letteratura". In ogni caso si tratta di
emozioni che hanno trovato valido mezzo di espressione in forme
costantemente intese ad esprimerle. E spesso Bottegal vi riusciva,
attraverso una tormentata ricerca.
Timido e tenace, sensibilissimo, egli
amava la dolce campagna veneta, i canali, le case, ogni aspetto
intimo e caro della nostra terra. La sua pittura mostra che egli
voleva bene a tutte le cose buone e modeste. In questo suo mondo
di sommessa umiltà, riuniva talvolta poveri oggetti per illuminarli
di una luce affettuosa. Se nei paesaggi si avverte con maggior
evidenza l'origine poetica dell'emozione, nelle pitture di gruppi d'
oggetti, composti in giusto rapporto di volumi e di toni, si avverte
maggiormente una emozione di origine musicale. Si può concludere
affermando che la pittura di Bottegal trova la sua collocazione fra
un'armonia di ordine poetico e una di ordine musicale. Che egli fosse
particolarmente sensibile alla musica sanno d'altronde quanti lo
sentirono suonare il flauto, strumento che gli consentiva di
isolarsi in un mondo di suoni puri e gentili, a lui congeniali, come trilli di invisibili
uccelli. La sua opera è la testimonianza di un originale
temperamento d'artista; degna di essere considerata per la sua
sincerità, per la sua immediatezza, per la sua fondamentale
ingenuità, come una commovente dimostrazione di onestà
artistica, espressione di una sensibilità delicata, ma viva e
vigilante. Da anni Silvio Bottegal non si vedeva più a Treviso. Si
era infatti ritirato a Belluno dove risiedono altri suoi familiari e
dove ha chiuso la sua giornata terrena. Con lui è scomparso
uno degli ultimi epigoni della pittura di paesaggio, intesa in termini tardo-romantici.
Ultimamente le sue opere all'acquerello apparivano come visioni
incerte, ma in realtà volutamente sfocate: case e paesaggi immersi
in una atmosfera quasi di disfacimento. E' stata forse questa
l'ultima espressione di un presentimento, l'accorata tristezza di un
addio a un mondo d'altri tempi, con altri ideali, malinconico
messaggio ai vecchi amici che lo ricordano e desiderano ricordarlo
agli immemori.
Giuseppe
Mazzotti
Tratto
dal libro “ Silvio Bottegal – pittore e poeta” edito dalla
tipografia “ Editrice Trevigiana “ Treviso 2 giugno 1971 in
occasione della mostra presso Ca da Noal – Treviso pp. 14-15-16
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